Fabrizio De André, 1970

Il sogno di Maria

Nel grembo umido scuro del tempio
l’ombra era fredda, gonfia d’incenso
L’angelo scese come ogni sera
ad insegnarmi una nuova preghiera

Poi d’improvviso mi sciolse le mani
e le mie braccia divennero ali
Quando mi chiese “Conosci l’estate?”
io per un giorno, per un momento,
corsi a vedere il colore del vento.

Volevammo davvero sopra le case,
oltre i cancelli, gli orti, le strade
Poi scivolammo tra valli fiorite
dove all’ulivo si abbraccia la vite

Scendemmo là, dove il giorno si perde
a cercarsi da solo nascosto tra il verde
E lui parlò come quando si prega
ed alla fine d’ogni preghiera
contava una vertebra della mia schiena.

(… e l’ angelo disse “Non temere Maria
infatti hai trovato grazia presso il Signore
e per opera Sua concepirai un figlio …)

Le ombre lunghe dei sacerdoti
costrinsero il sogno in un cerchio di voci
Con le ali di prima pensai di scappare
ma il braccio era nudo e non seppe volare

Poi vidi l’angelo mutarsi in cometa
e i volti severi divennero pietra
le loro braccia profili di rami
nei gesti immobili d’un altra vita
foglie le mani, spine le dita.

Voci di strada, rumori di gente
mi rubarono al sogno per ridarmi al presente
Sbiadì l’immagine, stinse il colore
ma l’eco lontana di brevi parole

ripeteva d’un angelo la strana preghiera
che forse era sogno ma sonno non era
“Lo chiameranno figlio di Dio”
parole confuse nella mia mente
svanite in un sogno ma impresse nel ventre.

E la parola ormai sfinita si sciolse in pianto,
ma la paura dalle labbra si raccolse negli occhi
semichiusi nel gesto d’una quiete apparente
che si consuma nell’attesa d’uno sguardo indulgente.

E tu piano posati le dita
all’orlo della sua fronte
i vecchi quando accarezzano
hanno il timore di far troppo forte.

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