Fabrizio De André, 1978

Coda di lupo

Quando ero piccolo m’innamoravo di tutto, correvo dietro ai cani
E da marzo a febbraio mio nonno vegliava
sulla corrente di cavalli e di buoi
Sui fatti miei sui fatti tuoi

E al dio degli inglesi non credere mai.

E quando avevo duecento lune, e forse qualcuna è di troppo
rubai il primo cavallo e mi fecero uomo
cambiai il mio nome in Coda di lupo
cambiai il mio pony con un cavallo muto

E al loro dio perdente non credere mai.

E fu nella notte della lunga stella con la coda
che trovammo mio nonno crocifisso sulla chiesa
crocifisso con forchette che si usano a cena
era sporco e pulito di sangue e di crema

E al loro dio goloso non credere mai.

E forse avevo diciott’anni e non puzzavo più di serpente
possedevo una spranga, un cappello e una fionda
e una notte di gala con un sasso a punta
uccisi uno smoking, e glielo rubai.

E al dio della scala non credere mai.

Poi tornammo in Brianza per l’apertura della caccia al bisonte
ci fecero l’esame dell’alito e delle urine
ci spiegò il meccanismo un poeta andaluso
Per la caccia al bisonte, disse, il numero è chiuso

E a un dio a lieto fine non credere mai.

Ed ero già vecchio quando vicino a Roma, a Little Big Horn
capelli corti generale ci parlò all’università
dei fratelli tutte blu che seppellirono le asce
ma non fumammo con lui non era venuto in pace

E a un dio, fatti il culo, non credere mai.

E adesso che ho bruciato venti figli sul mio letto di sposo
che ho scaricato la mia rabbia in un teatro di posa
che ho imparato a pescare con le bombe a mano
che mi hanno scolpito in lacrime sull’arco di Traiano
con un cucchiaio di vetro scavo nella mia storia
ma colpisco un po’ a casaccio perché non ho più memoria

E a un dio, e a un dio, e a un dio…

E a un dio senza fiato non credere mai.

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