Fabrizio De André, 1973

Canzone del padre

“Vuoi davvero lasciare ai tuoi occhi
solo i sogni che non fanno svegliare?”
“Sì, Vostro Onore, ma li voglio più grandi”
“C’è lì un posto, lo ha lasciato tuo padre.

Non dovrai che restare sul ponte
e guardare le altre navi passare
le più piccole dirigile al fiume
le più grandi sanno già dove andare”

Così son diventato mio padre
ucciso in un sogno precedente
il tribunale mi ha dato fiducia
assoluzione e delitto lo stesso movente.

E ora Berto, figlio della lavandaia,
compagno di scuola, preferisce imparare
a contare sulle antenne dei grilli
non usa mai bolle di sapone per giocare

Seppelliva sua madre in un cimitero di lavatrici
avvolta in un lenzuolo quasi come gli eroi
si fermò un attimo per suggerire a Dio
di continuare a farsi i fatti suoi

E scappò via con la paura di arrugginire
il giornale di ieri lo dà morto arrugginito
i becchini ne raccolgono spesso
fra la gente che si lascia piovere addosso.

Ho investito il denaro e gli affetti
banca e famiglia danno rendite sicure,
con mia moglie si discute l’amore
ci sono distanze, non ci sono paure

ma ogni notte lei mi si arrende più tardi
vengono uomini, ce n’è uno più magro
ha una valigia e due passaporti,
lei ha gli occhi di una donna che pago.

Commissario io ti pago per questo
lei ha gli occhi di una donna che è mia
l’uomo magro ha le mani occupate
una valigia di ciondoli, un foglio di via.

Non ha più la faccia del suo primo hashish
è il mio ultimo figlio, il meno voluto
ha pochi stracci dove inciampare
non gli importa d’alzarsi, neppure quando è caduto

e i miei alibi prendono fuoco
il Guttuso ancora da autenticare
adesso le fiamme mi avvolgono il letto
questi i sogni che non fanno svegliare.

Vostro Onore, sei un figlio di troia
mi sveglio ancora e mi sveglio sudato
ora aspettami fuori dal sogno
ci vedremo davvero, io ricomincio da capo.

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