Fabrizio De André, 1973

Il bombarolo

Chi va dicendo in giro che odio il mio lavoro
non sa con quanto amore mi dedico al tritolo
è quasi indipendente, ancora poche ore
poi gli darò la voce: il detonatore.

Il mio Pinocchio fragile, parente artigianale
di ordigni costruiti su scala industriale
di me non farà mai un cavaliere del lavoro
io sono d’un’altra razza, son bombarolo.

Nello scendere le scale ci metto più attenzione
sarebbe imperdonabile giustiziarmi sul portone
proprio nel giorno in cui la decisione è mia
sulla condanna a morte o l’amnistia.

Per strada tante facce non hanno un bel colore
qui chi non terrorizza si ammala di terrore
c’è chi aspetta la pioggia per non piangere da solo
io sono d’un altro avviso, son bombarolo.

Intellettuali d’oggi, idioti di domani
ridatemi il cervello che basta alle mie mani
Profeti molto acrobati della rivoluzione
oggi farò da me, senza lezione.

Vi scoverò i nemici per voi così distanti
e dopo averli uccisi sarò fra i latitanti
ma finché li cerco io i latitanti sono loro
ho scelto un’altra scuola, son bombarolo.

Potere troppe volte delegato ad altre mani
sganciato e restituitoci dai tuoi aeroplani
io vengo a restituirti un po’ del tuo terrore
del tuo disordine, del tuo rumore.

Così pensava forte un trentenne disperato
se non del tutto giusto quasi niente sbagliato
cercando il luogo idoneo, adatto al suo tritolo
insomma il posto degno d’un bombarolo.

C’è chi lo vide ridere davanti al Parlamento
aspettando l’esplosione che provasse il suo talento
c’è chi lo vide piangere un torrente di vocali
vedendo esplodere un chiosco di giornali.

Ma ciò che lo ferì profondamente nell’orgoglio
fu l’immagine di lei che si sporgeva da ogni foglio
lontana dal ridicolo in cui lo lasciò solo
ma in prima pagina, col bombarolo.

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